D'orica, i maestri dell'oro: dove i valori si trasformano in risultati preziosi

La marca è il territorio dove si crea valore. Raccontiamo storie di marca perché vogliamo cercare, trovare e mettere in rilievo tutti i gesti, i dettagli e i comportamenti che troppo spesso rimangono nascosti. La nostra specialità è immergerci nelle marche alla ricerca di particolari preziosi, di nuove prospettive, di parole non dette – da elevare e mettere in risalto come meritano.
 

Ogni marca ha il suo tesoro. In D'orica forse è più evidente che altrove, ma non solo perché creano fantastici gioielli. I dubbi sulla necessità di avere solidi valori su cui fondare la propria impresa svaniscono immediatamente ascoltando la storia straordinaria di D'orica, prima B-Corp al mondo nel settore orafo a livello industriale.

Cosa significa essere una Benefit Corporation (B-corp) in un breve articolo però non è facile da descrivere. Perché vuol dire aver agito in tutte le direzioni del business andando controcorrente e guardando avanti con lungimiranza. Ed esser riusciti a vedere il presente con uno sguardo cristallino, senza la nebbia che solitamente rende difficile capire le scelte giuste da fare.

Se io ed Elisa siamo riusciti a percepire tutto questo è stato grazie a Giampietro Zonta, al figlio Federico e alla moglie Daniela, che ci hanno accolti nella loro “marca”, a Nove (nel vicentino), per raccontarci la loro storia e guidarci alla scoperta del luogo dove tutto accade.

Un'impresa "eretica".

Per avere un'idea di questa vera e propria impresa basta pensare che grazie a D'orica è ripartita la filiera della seta in Italia, scomparsa da oltre cinquant'anni. Lontani ormai i tempi degli antichi maestri veneziani.

Ma seguire un sogno può vincere anche l'inerzia del tempo: creare dei magnifici gioielli di oro e seta in modo “etico”, nel rispetto dell'ambiente e delle persone. Il che vuol dire, tra le altre cose, produrre tutto in Italia.

La seta Made in Italy non esisteva più. Il comparto di produzione della seta italiano ed europeo era scomparso da oltre 50 anni e tutto il pregiato filato arrivava dall’Oriente. «Abbiamo comprato una macchina, che ora abbiamo qui in azienda, una Nissan del 1971, l'unica macchina che esiste in Europa», ci racconta Giampietro Zonta, che ha fondato D'orica, oltre trent'anni fa, con la Moglie Daniela.

Hanno recuperato i pezzi e la conoscenza necessaria a rimetterla in sesto e in funzione. «A ottobre 2014 abbiamo fatto la prima trattura di seta in Europa dopo cinquant'anni. Questo ha avuto un impatto mediatico enorme. Perché abbiamo fatto una cosa eretica; non era di nostra competenza far partire questa filiera, noi lo abbiamo fatto per passione.»

Per secoli una grande percentuale di introiti della Serenissima Repubblica di Venezia era proprio la seta. Un patrimonio economico, artistico e culturale che era andato perduto. Una storia che ha l'aura della leggenda e che risale a Marco Polo. Fu proprio lui a portare dall'Oriente, di ritorno dai suoi viaggi, mercanzie di varia natura tra cui i tessuti di seta.

Fu l'inizio. Venezia sviluppò la coltivazione locale dei bachi e grandi filande: la produzione di tessuti di seta diventò fondamentale per l'economia della Repubblica Veneziana. Un tesoro che era andato, a metà del '900, completamente perduto.

Cosa significa fare impresa?

D'orica incarna a pieno il senso di impresa. Per me questa parola ha avuto sempre due significati distinti, quasi si trattasse proprio di parole diverse, che nulla avessero a che fare l'una con l'altra. O era sinonimo di azienda (e devo dire che soprattutto da piccolo quest'accezione non mi entusiasmava molto). Oppure significava scalare l'Everest o la prima traversata dell'Oceano in aereo. Quella era l'impresa vera. Quella eroica.

Poi diventando più grande ho scoperto che queste due “sfumature” erano la stessa parola, che effettivamente c'è un nocciolo che le accomuna e che a quello bisogna rifarsi se si vuole intenderne il significato più profondo.

Il dizionario etimologico dice che impresa deriva da impréso, participio passato di imprèndere: “Ciò che qualcuno imprende o piglia a fare”. Mettersi a fare qualcosa, insomma. E poi continua così: “Dicesi anche l'unione di un corpo figurato e di un motto, che in origine dové significare l'intento che si proponeva, il concetto che ispirava il cavaliere, il quale assumeva quel segno come propria bandiera” (www.etimo.it).

Ecco ritrovato il senso del fare impresa. Mettersi a fare qualcosa di concreto. Ma farlo con un intento nobile, seguendo un concetto ispiratore. Qualcosa di cui andare così fieri da farne diventare la propria bandiera. Un cavaliere e il suo vessillo. Questa è l'immagine del modo valoroso di fare impresa.

Giampietro e Paolo Zonta premiati come Costruttori di Significato in occasione del 20° anniversario di Liquid Diamond. Scopri le foto dell'evento a questo link.

 

Valori e parole

La prima cosa che mi ha sorpreso visitando D'orica e ascoltando il racconto di Giampietro, sono le tre parole esposte all'ingresso. Impresa. Opificio. Maestranze. Ma non era solo questo.

Si aggiungeva il fatto che Giampietro ci ha spiegato cosa significassero per lui questi termini partendo proprio dalla loro etimologia. Uno scavo in profondità nella parola, indice del voler andare a fondo, di non fermarsi alla superficie della realtà o di quella che ci viene venduta come tale. «Maestranze deriva dal latino “magister”; chi era il magister? Era chi conosceva molto bene il proprio lavoro, la propria arte, e la sapeva trasmettere.»

«In un opificio entrava la materia prima e usciva un prodotto finito. La crisi di oggi è in gran parte in questo. Pensavamo convenisse importare dal o trasferirsi all'estero, ma così abbiamo perso la filiera. Opus facere, fare un'opera, questa è stata la nostra forza. Noi non abbiamo fornitori.»

L'opificio: dove i valori si trasformano in risultati preziosi

Ed è proprio nell'opificio che ci apprestiamo a entrare. Il sito produttivo fin dalle origini di D'orica, doveva essere: «Un contenitore altamente efficiente dal punto di vista energetico, ma anche vivibile, pulito e ordinato, in cui ognuno si trovasse a proprio agio.»

Il soffitto è ricoperto da pannelli fonoassorbenti che riducono del cinquanta per cento il rumore dei macchinari e che i ragazzi del liceo artistico Antonio Canova di Vicenza hanno dipinto con immagini della natura, che rappresentano il cielo, il vento, le montagne, le stelle. 114 pannelli per una superficie di 270 metri quadri. La “Cappella Sistina” dell'azienda.

Nonostante sapessimo già che D'orica realizza tutto al proprio interno, è emozionante vedere coi propri occhi le varie fasi della lavorazione dell'oro e come la materia grezza, per quanto nobile, si trasformi in prodotto finito: un gioiello unico nel suo genere.

Le macchine oggi danno un grande aiuto, ma qui è ben visibile come siano strumenti nelle mani dei “magister” che ne controllano il funzionamento. Ma per quanto il progresso tecnologico abbia influenzato i modelli produttivi, qui si respira l'aria del “fatto a mano”. In tutte le fasi. Sempre più, naturalmente, mano a mano che la materia prende la forma del gioiello finito. «Noi lavoriamo con ago e filo d'oro», precisa Daniela alle mie domande.

Manufatti culturali

Qui i prodotti li chiamano “manufatti culturali”, un nome che hanno depositato: il “sapere delle mani”. A comporre i gioielli sono le “magistrae”, tutte donne, che con sapiente abilità infilano gli elementi dando forma agli splendidi gioielli creati da Daniela. Una collana che vediamo in via di realizzazione si chiama “Mani d'Oro”, e ha un disegno così originale che ci vogliono due giorni solo per comporlo a mano.

Alla fine del nostro viaggio vediamo proprio come viene confezionato uno dei gioielli Treesure in seta e oro più rappresentativi della collezione. Un collana con fili di seta e oro intrecciati in un disegno affascinante quanto complesso, che ricorda una sciarpa preziosa per la sua morbidezza. La ragazza impegnata a intrecciarne i fili ha, a fianco a sé, un blocchetto di carte con gli appunti da seguire meticolosamente per riuscire a realizzarla. Uscendo dal sito produttivo abbiamo ben chiaro perché hanno anche deciso di chiamare Manufatto Culturale il risultato del loro lavoro.

L'ultima sorpresa, Giampietro, Daniela e Federico, ce la fanno portandoci a vedere la piccola filanda, che hanno rimesso in funzione proprio in azienda. Si trova ad un piano inferiore, interrato. L'odore particolare dei bachi permea il lungo corridoio che ci porta alla sala dove si fila la seta. La luce è soffusa, per non danneggiare i bozzoli, e diffonde un alone di affascinante mistero sulla vecchia Nissan rimessa in sesto per filare la seta. 

Che cos'è una filanda? La scena davanti ai nostri occhi è rivelatrice. Un macchinario che la patina del tempo ha reso più affascinante e non meno funzionale. Un paio di maestranze che la sanno utilizzare. La magia di trasformare la materia. Di poter seguire e curare ogni passaggio nel rispetto delle persone e dell'ambiente. Arrivando a un risultato eccellente. La voglia di seguire i propri sogni e la perseveranza per trovare il modo di realizzarli.

È visitando aziende come D'orica che si riscopre il significato di fare impresa.

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